Gregorio "praefectus urbis"
Egli però amò e volle servire anche la sua città, per questo, a 33 anni circa, accettò la più alta
carica civile di Roma, quella di “praefectus urbis” (noi diremmo sindaco), che esercitò per cinque
anni con grande senso di responsabilità fino al 578, allorché decise di dedicarsi totalmente al
servizio di Dio. Per comprendere l'alto senso del dovere nell'esercizio della sua carica riportiamo
un passo di una sua lettera ad un funzionario imperiale, scritta nel settembre del 600 (quando era già papa):
“…in tutti i nostri atti, la prima cosa da fare è tutelare la giustizia e garantirla
con la stessa passione con cui difendete la vostra. E come non volete essere trattati ingiustamente
dai vostri superiori, così dovete custodire con grande rispetto la libertà dei vostri sudditi”.
Ed ecco come descrive l'arte di far carriera e di primeggiare, che si insegnava allora nelle scuole di Stato:
“E' proprio della sapienza di questo mondo coprire il cuore con sotterfugi, nascondere ciò che si pensa, dimostrare
vero il falso e falso il vero. E' questa prudenza mondana che i giovani di solito apprendono, è questa che si insegna
a pagamento ai ragazzi nelle scuole; e quelli che l'apprendono ne vanno orgogliosi e disprezzano gli altri.
Quelli che non l'apprendono, l'ammirano negli altri e ne subiscono il fascino, perché anch'essi amano questa
sciagurata doppiezza e la chiamano cultura, mentre è perversione mentale. A quanti la seguono, essa insegna a far carriera,
ad essere soddisfatti quando raggiungono la vanagloria temporale, a ricambiare con usura il male ricevuto,
a non cedere mai quando sono forti e, quando sono deboli, a simulare come pacifica bontà ciò che la malizia non
riesce ad effettuare”.
A questo falso indirizzo di vita Gregorio contrappone lo spirito delle Beatitudini evangeliche.
E' la sapienza dei semplici derisa dai furbi. “La sapienza dei giusti, contrariamente a quella del mondo,
insegna a non fingere nulla per ostentazione, a manifestare con parole il proprio pensiero,
ad amare la verità delle cose, a compiere il bene disinteressatamente, ad essere disposti a
soffrire il male piuttosto che farlo, a non vendicarsi mai dei torti ricevuti e considerare
un guadagno quando si è disprezzati per amore della verità”.
Torna all'indice Pagina successiva Pagina precedente