LA MORTE


Ormai, come per tutti, anche per Gregorio era giunta l'ora del tramonto: lo spettacolo desolante che presentava Roma, devastata dalle fiamme, con gli edifici crollati, senza più Senato e con la popolazione decimata, era un segno della fine evidente anche nel suo corpo, letteralmente consumato e già pronto per la sepoltura, com'egli stesso aveva scritto alla nobile Rusticiana. Meditando su Giobbe così aveva espresso la sua convinzione: “…il Signore intende giudicare maggiormente l'ultimo periodo della nostra vita e per questo, verso la fine, purifica i suoi eletti con maggior premura. Con tanta maggior sollecitudine, quindi, veglia sui nostri ultimi giorni, perchè sa che da essi dipende il nostro destino eterno” Stava per finire l’attesa e stava per compiersi la beata speranza; il Signore bussava alla porta e Gregorio era pronto ad aprirgli con gli stessi sentimenti che aveva espresso in un'omelia al popolo: “Se consideriamo quant'è grande la ricompensa che ci viene promessa in paradiso, ci sembra poco o quasi nulla quanto in fatto di beni ci può offrire il mondo. In confronto alla beatitudine celeste, la felicità temporale non è che amarezza. Ma quale lingua potrà mai esprimere e quale mente concepire, quant'è grande il gaudio della città di Dio nella vita futura, dove l'anima... contempla il volto di Dio e s'immerge nella luce infinita?... Il cuore s'infiamma alla considerazione di queste cose e anela di giungere alla mèta dell'eterna felicità”. Non sappiamo nulla di storicamente certo sull’ultima ora di Gregorio Magno in quel 12 marzo dell'anno 604, quando chiuse gli occhi su questa terra per aprirli in cielo. Ma ci è dolce immaginarlo riportando le sue stesse parole dal quarto libro dei “Dialoghi”, dove narra che S. Benedetto, benchè lontano, quando morì il vescovo di Capua “... vide quell'anima che saliva al cielo portata dagli angeli in un globo di fuoco e allora il seno del suo spirito si dilatò e vide davanti ai suoi occhi l'universo intero raccolto in un solo raggio di sole”. In questa vivida luce vogliamo pensare Gregorio salito alla gloria del premio eterno meritato pienamente, perchè, nonostante fosse malato e quindi fisicamente debole, la sua instancabile attività fu sempre sorretta da una ferrea volontà di giustizia e da una visione universalistica dei compiti della Chiesa, quale solo pochi grandi spiriti avranno nei secoli futuri.




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