"SERVUS SERVORUM DEI"
Si può ben immaginare il suo rammarico nel dover lasciare definitivamente il Celio
per trasferirsi nel palazzo dei papi al Laterano. Ma anche qui Gregorio creò subito l'atmosfera
austera e serena d'un monastero conducendo con sè alcuni monaci del Celio; anzi, esprimendo la sua mentalità
di monaco formato alla “scuola del servizio del Signore”, scelse di essere “servo dei servi di Dio”
e poichè fu essenzialmente un grande pastore, intese il ministero pastorale innanzi tutto come un servizio.
Il monaco che aveva cercato Dio nel monastero, fu costretto a trovarlo come pastore, a servizio dei fratelli.
Il desiderio di Dio e il servizio del prossimo non sono in contrasto per chi misura la propria vita su questo duplice amore:
“Dobbiamo amare coloro con i quali viviamo e anelare con ogni desiderio a colui nel quale vivremo veramente”.
La prova, alla quale aveva tentato di sottrarsi, l'aveva maturato facendolo crescere nell'amore più vero e insegnandogli
a non ricercare più nessuna gioia personale, fosse pure la più sublime, per prepararsi invece a godere la vera felicità,
quella comune ed eterna.
Egli comprese che per poter parlare di Dio agli uomini, doveva vivere in mezzo a loro lasciandosi
totalmente coinvolgere nelle vicende del suo tempo, per recare una parola di speranza in una situazione disperata.
Non più il monastero, ma la città assediata e votata allo sterminio era ormai la scuola per imparare a servire Dio.
In un'epoca di pura barbarie e così scarsa di speranze, gli animi avevano estremo bisogno d'essere risollevati e confortati
a riporre in Dio la speranza sicura e a non disperare dell'uomo, perché anche nell'ora delle tenebre è sempre possibile il miracolo
dell'amore. La speranza della risurrezione è una speranza “che non inganna”: essa ci dà la sicurezza che la nostra fatica quotidiana
non è vana, e perciò possiamo essere lieti anche nelle avversità.
Purtroppo Roma, desolata dalla peste e decaduta nelle sue istituzioni, sembrava proprio prossima alla fine così come il mondo intero:
è questo dunque un tema ricorrente nelle omelie che il nuovo Papa tenne al popolo atterrito da tanti mali.
Per ottenere la cessazione della peste il Papa indisse una processione penitenziale alla quale invitò tutta la popolazione,
che rispose unanime all'appello.
E' bello riportare a questo punto una nota leggenda sorta nel Medioevo: si narra che la processione, diretta verso la basilica di
S. Pietro, giunta sul ponte di fronte alla Mole Adriana, vide apparire sopra il monumento un angelo in atto di riporre la spada nel
fodero, come segno che l'ira divina era placata e il flagello stava per cessare.
Da allora la Mole Adriana fu chiamata Castel Sant'Angelo.
Ma ritorniamo a Gregorio: d'aspetto minuto egli non godette mai buona salute; i rigorosi digiuni, cui si era sottoposto da giovane,
gli procurarono frequenti disturbi di stomaco che lo costrinsero a volte a far leggere ad altri le sue omelie;
era afflitto anche da una febbre lieve ma persistente, eppure nel suo ministero prodigò sempre senza risparmio tutte le sue energie,
tanto da ridursi negli ultimi dieci anni ad uno stato di penosa malattia. La malattia, però, non portò mai Gregorio a ripiegarsi
su sé stesso, ma lo aprì maggiormente agli altri e lo rese più capace di capire gli altri; infatti nel “Commento a Giobbe” scrive:
“...Uno è tanto più perfetto quanto più perfettamente sente i dolori altrui come propri.”…e ancora
“per capire bene l'animo di chi soffre bisogna sapersi mettere nei suoi panni”.
Ma anche qui occorre il senso della misura: “Chi vuole consolare un afflitto, deve addolorarsi con misura, altrimenti,
invece di consolarlo, col suo dolore smisurato lo spinge alla disperazione”.
Il senso della misura è accompagnato in Gregorio da una sottile vena umoristica, che affiora nel sorriso indulgente e amabile,
nello sguardo che esprime e attira simpatia, in quel fascino irresistibile per cui ognuno di noi scopre d'essere amato personalmente
da Dio, e invitato ogni giorno ad attingere con gioia alle sorgenti della salvezza per donarsi lietamente agli altri.
La sofferenza impedisce al cuore di chiudersi egoisticamente in sé stesso e lo costringe ad aprirsi nell'amore del prossimo.
E' la sua idea dominante: “Quanto più uno si dilata nell'amore del prossimo, tanto più s’innalza nella conoscenza di Dio”.
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